Ricordi le insegnanti di cui ti ho precedentemente raccontato che hanno proposto ai loro alunni un percorso di alfabetizzazione emotiva? Grazie a loro ho scoperto anche la rivista Cooperazione Educativa e il Movimento che la cura. Per questo oggi voglio parlarti del Movimento di Cooperazione Educativa.
Il Movimento di Cooperazione Educativa
Il Movimento di Cooperazione Educativa (www.mce-fimem.it) nasce nel 1951 sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet. In Italia aderiscono al movimento maestri come G. Tamagnini, A. Fantini, A. Pettini, E. Codignola e più tardi B. Ciari, M. Lodi.
Nello statuto di questa associazione si legge:
“Il M.C.E. pone al centro della sua ricerca-azione:
- La centralità del soggetto e la valorizzazione dell’identità di ciascuno, delle differenti abilità, delle diversità culturali, della differenza di genere; il rispetto dei tempi di crescita individuali, l’accoglienza di ogni persona nella sua interezza, la promozione di competenze e la formazione alla cittadinanza.”
Il Movimento di Cooperazione Educativa si impegna:
- Perché sia possibile creare in classe climi favorevoli all’ascolto e alla comunicazione autentica;
- A formare insegnanti che operino per realizzare una scuola in cui sia promossa la libertà espressiva, sia dato spazio alla creatività;
- Perché siano realizzati processi circolari di apprendimento- insegnamento capaci di produrre nei bambini/e crescita globale, affettiva e cognitiva e sociale.
In questo periodo il M.C.E. sta lavorando ad un manifesto pedagogico a mio parere molto interessante (puoi scaricarlo sulla home page del sito).
Il manifesto pedagogico del M.C.E.
“Il Movimento di Cooperazione Educativa sceglie di continuare a impegnarsi nei processi ricerca, di innovazione e di cambiamento che riguardano il lavoro educativo e la didattica. […] Al centro del dibattito pedagogico contemporaneo il M.C.E. pone il tema del diritto a ricevere un’educazione libera e liberante, autentica, capace di insegnare il riconoscimento reciproco, l’unico generativo di cambiamento. Si batte perché venga garantito a tutti i soggetti in apprendimento:
- Il diritto ad essere ascoltati, a non essere scavalcati, appiattiti, omologati;
- Poter apprendere a partire dalla proprie risorse e dal riconoscimento dei diversi modelli culturali di riferimento;
- Al rispetto dei propri tempi di maturazione, di crescita e di formazione identitaria;
- A praticare, grazie a tutto questo, il pensiero critico.
Il M.C.E. propone un approccio pedagogico improntato alla centralità dei soggetti, all’attenzione ai processi, alla pratica della ricerca-azione. […]
In quest’ottica chi apprende non è un vaso vuoto da riempire di temi cognitivi e valoriali, né il portatore di una cultura passivamente introiettata. Egli può appropriarsi di un sapere significativo, ricco di senso in grado di suscitare il desiderio di ricercare altri saperi. Un sapere co-costruito giorno per giorno con i propri compagni e con l’educatoreinsegnante di riferimento, nel rispetto di un ritmo adeguato ai propri tempi di interiorizzazione. […]
Il M.C.E. privilegia il porre domande, piuttosto che il dare risposte, per insegnare fin da piccoli ad esprimere idee ed opinioni, ad utilizzare punti di vista e sguardi sul mondo che si arricchiscono nel confronto con gli altri. […]
Nella pratica M.C.E. il livello cognitivo ed emozionale sono interconnessi, pertanto ogni soggettività è riconosciuta e accolta nella sua interezza mente-corpo. La corporeità è intesa come fonte primaria di apprendimento e i ritmi di ciascuno sono da rispettare, come pure i diversi modi di conoscere e gli stili di apprendimento. […]
Elemento nodale dell’azione educativa sta nella costruzione di “strutture di appartenenza” al gruppo. È importante la cura degli spazi e dei tempi, delle piccole ritualità che diventano significative nel contesto classe. […] È importante valorizzare gli aspetti comunicativi dell’azione educativa per costruire legami forti all’interno del gruppo. Per esempio ponendo al centro “la narrazione”, il “raccontarsi”, una tecnica che favorisce la scoperta di affinità e diversità e che consente di attivare presenza, ascolto, reciprocità, in un processo circolare di scambio tra chi narra e chi ascolta. […]
Il gruppo, quindi, è uno spazio relazionale e narrativo, è l’ ambiente di apprendimento dove si generano idee, problemi, soluzioni creative e dove il discente assume un ruolo attivo nel processo di conoscenza.
Il laboratorio è la forma didattica che rende un ambiente potentemente educativo e formativo. Vi si esercitano processi che danno centralità al soggetto che apprende, il quale “facendo”, “manipolando” contenuti/oggetti del sapere, prende coscienza delle connessioni tra i vari ambiti disciplinari, produce analisi, riflessione, rielabora conoscenze. È il luogo in cui si ri-costruisce il senso e la decodifica dei linguaggi specifici con i quali natura e cultura ci parlano. […]È il luogo dell’apprendistato cognitivo, che vede lo studente affiancato dall’adulto ad acquisire conoscenze e maturare responsabilità, consapevolezza, con una progressiva autonomia rispetto al proprio apprendimento. […]
Il M.C.E. accoglie la concezione e la pratica di valutazione “formativa” codificata con la legge 517/1977 che ha abrogato voti e pagelle, sostituendoli, nella scuola dell’obbligo, da una scheda di valutazione e da giudizi analitici (nelle discipline) e globali (relativamente ad aspetti motivazionali, comportamentali e di maturazione complessiva del soggetto). Una valutazione che, accanto al giudizio sulla singola prestazione, si avvale di una serie di strumenti di rilevazione – osservazioni sistematiche, prove di verifica, conversazioni, fascicoli documentari, dossier, monografie… – valutazione diagnostica, in itinere o intermedia – per approdare alla valutazione finale.
È formativa in quanto segue e accompagna i processi, non si limita a registrare risultati; e in quanto è continuamente ridefinibile e spinge l’insegnante a tentare strategie diverse, a rivedere la propria azione educativa, la propria programmazione, a giustificare successi e insuccessi. In questo senso si iscrive in una pedagogia dell’esito formativo, del successo e non della classificazione notarile dei risultati degli alunni. […]
Nella tradizione del M.C.E., l’educatore/insegnante che si ispira al metodo/non metodo delineato, cerca di “percorrere anche strade diverse”, non cerca un “modello” di pensiero pedagogico da seguire, ma preferisce assumere un atteggiamento di ricerca e di sperimentazione personale di metodologie che possono aiutare tutti i soggetti in apprendimento a migliorare la qualità e il senso dell’apprendere. […] L’educatore/insegnante M.C.E. sceglie di stare costantemente in un processo di formazione e autoformazione lungo e faticoso, in cui non si chiedono e non si danno ricette, né tecniche preconfezionate per risolvere prontamente problemi di natura educativa o didattica.
In questa dimensione la formazione assume l’elemento caratterizzante la propria professionalità, proponendo modelli di sapere non cristallizzati ma complessi, dinamici, costantemente in divenire, da verificare e mettere in discussione continuamente.”
Io in una scuola così ci starei volentieri e credo che ci starebbero volentieri anche i bambini. Non credi?
(A cura di Camilla Mucè)