Quando ho letto il titolo del post blog “Non si insegna alla disabilità, ma alle persone“, pubblicato su www.superando.it, ho pensato che fosse perfettamente in linea con quanto proposto nelle ultime settimane (ad esempio come abbiamo trattato QUI). La centralità dell’alunno come individuo è un tema che a noi di LVdC sta particolarmente a cuore. Sia come professionisti che come mamme perché troppo spesso incontriamo bambini e ragazzi disamorati nei confronti della scuola a causa di una didattica per loro inaccessibile.
Questo non per cattiva volontà degli insegnanti ma perché spesso ai docenti mancano le risorse e gli strumenti per mettere in atto una didattica basata sulle potenzialità di ognuno, in cui ogni alunno, secondo le sue possibilità, coopera all’interno del gruppo classe che, unito, procede nella conquista degli obiettivi didattici.
Non si insegna alla disabilità ma alle persone
Ritengo che sia veramente importante che a pronunciare la frase del titolo sia Stefano Versari, vicedirettore dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna, in occasione della manifestazione “A come autismo: Invisibile, Sconosciuto, Frequente. Conoscere per agire”, promossa dall’ANGSA Bologna.
E’ importante che sia un uomo al “comando” a dire che per garantire una didattica centrata sull’alunno, che abbia come obiettivo l’inclusione di tutti gli alunni all’interno del gruppo classe, è necessario puntare sulla formazione dei docenti, perché il compito di realizzare l’inclusività spetta a tutti gli insegnanti e i dirigenti scolastici, non solo agli insegnanti di sostegno.
Punto nodale deve essere la consapevolezza da parte dell’insegnante che al centro della didattica c’è la persona, nella sua globalità, e che suo compito è individuare le potenzialità di ciascun alunno per svilupparle.
Versari aggiunge anche che “è necessario che i docenti siano aiutati a costruirsi il bagaglio essenziale di strumenti efficaci per fare sviluppare queste competenze in ragazzi diversi”.
Molto interessante anche il suo riferimento a John Wooden, giocatore e poi coach di basket, che ha marcato la differenza fra vittoria e successo. Wooden definiva il “successo come raggiungimento della serenità interiore dovuta alla consapevolezza di avere ottenuto il massimo miglioramento possibile in virtù delle proprie capacità e secondo i propri limiti”.
Questo significa che il successo di ogni ragazzo sta nel superamento delle proprie difficoltà, dei propri limiti, nella contemporanea accettazione di qualsiasi condizione umana non modificabile.
E questo non riguarda soltanto i ragazzi con disabilità, ma ciascun ragazzo che cresciamo nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre strade.
(A cura di Camilla Mucè)